lunedì 21 gennaio 2013

Il ritorno del casaro

Questa volta proprio non ce l'ho fatta. Avevo appeso le fuscelle al chiodo, messo via lo scolino in ferro, avevo dimenticato nell'angolo più recondito del frigo il caglio. Tutto per evitare di ritrovarmi ancora in piena notte a lavorare la cagliata, mentre la gente della mia età impazza sui social network e ignora che un essere umano possa ottenere partendo dal latte del semplice formaggio. Il casaro che alberga in me non ha potuto più trattenersi e nonostante l'armistizio caseificatore siglato mesi addietro con mia moglie, ho ceduto lasciando il casaro libero di esprimersi come meglio credesse.
"Rivedrò il trattato che prevede il divieto di trasformare la cucina in un'antica cascina  intrisa di siero e zuppa di latte, cercherò di raggiungere un accordo di mediazione, formaggio sì ma a patto che poi ripulisca tutto..." questo fu il mio pensiero quando mi ritrovai  a raccogliere l'ennesima cagliata e a metterla nelle fuscelle in plastica. La materia prima è derivata dal miscuglio di mezze bottiglie di latte parzialmente scremato e un paio di litri di latte intero, tutto addizionato di panna liquida, per rendere il formaggio ancora più ricco. Il risultato? Ve lo dirò quando avrò assaggiato i formaggi prodotti.











giovedì 6 settembre 2012

Fare il Gorgonzola senza caglio


Il siero ancora congelato
Il gorgonzola acquistato
Avevo già prodotto il gorgonzola casereccio con un procedimento davvero semplice ed il risultato era stato squisito, al di sopra di ogni mia più rosea aspettativa: giusto grado di puzza formaggesca, giusta quantità di muffe verdi putrescenti, giusta cremosità, una vera leccornia per palati sopraffini. L’unica a non esser contenta era stata mia moglie, visto che la maturazione della forma dall’odore raccapricciante era avvenuta nel frigo di casa, impestando e gorgonzolizzando anche l’insalatina fresca. Ho dovuto lasciar passare un po’ di tempo perché la puzza si fosse dispersa ed insieme a questa l’incazzatura di mia moglie, ma il casaro che alloggia in me ha trovato nuovo slancio e nuova ispirazione. Ho voluto tentare nuovamente l’autoproduzione del gorgonzola, questa volta seguendo un procedimento diverso, perché si sa, nell’arte casearia, cambiando anche di una sola virgola il procedimento, il risultato può differire in maniera pazzesca. E così ho fatto. Ho acquistato quattro litri di latte intero fresco, di cui uno con fermenti lattici vivi aggiunti, li ho lasciati riposare in pentola per circa sei ore, insieme a mezzo vasetto di yogurt intero e ad un bicchiere di siero da precedente formaggificazione. Ho messo inoltre in una tazza un goccio di latte ed un po’ di muffa raschiata via da una fetta di gorgonzola dolce acquistata al supermercato. La temperatura dell’ambiente era ideale, circa 28°, ottima per una corretta fermentazione, sia del latte che della coltura muffesca. Dopo l’attesa ho scoperchiato la pentola e con gran stupore ho trovato già una specie di cagliata, a questa vi ho aggiunto il siero prodotto dalla coltura, poi ho acceso il gas per portare la temperatura ai fatidici 37°. Visto che il latte presentava già abbondanti segni di coagulazione, ero indeciso se aggiungere o meno il caglio. Con il passare dei minuti le idee si sono fatte via via più chiare, soprattutto dopo aver puntualmente dimenticato la cagliata sui fornelli. Questa infatti ahimé ha sobbollito per quindici minuti, ma come ogni volta uno sbaglio si è rivelato allo stesso tempo fatale e prezioso. Non ho avuto bisogno di aggiungere il caglio!!! La cagliata ha assunto una consistenza corposa e si è separata con decisione dal siero, il profumo di formaggio è risultato intenso, il colore d’un giallo sublime. A questo punto ho proceduto alla raccolta della cagliata nei soliti fuscelli in plastica, e l’ho lasciata a stufare sotto uno strofinaccio, sul lavandino della cucina riempito con acqua calda. Le due forme ottenute hanno spurgato per circa sei ore, dopodiché sono state riposte in frigo. Il giorno dopo ho proceduto con la salatura in salamoia per circa quattro ore, ed ho riposto le forme tra due tavolette di legno, di nuovo in frigo ad ammuffire, stagionare e soprattutto impuzzolire tutto. Il risultato ha poco a che fare con il gorgonzola cremoso da cui avevo asportato le muffe, il formaggio ha assunto l’apparenza di un erborinato francese stagionato, ma il sapore ha davvero a che fare con il cibo di Dio…


Le due forme di gorgonzola fresco pronte per essere stagionate...

Perché nel latte si è formata la cagliata senza utilizzare il caglio?
Una cosa deve essere chiara: il latte intero, se abbandonato in pentola prima o poi coagula. Questo avviene per opera di batteri che ne determinano l’acidificazione e separano la cagliata dal siero. Questo fenomeno si verifica comunque anche senza l’aggiunta del caglio, dell’aceto o del succo di limone, con tempi e modalità differenti per via di determinate variabili: temperatura, qualità del latte, presenza o meno di fermenti lattici vivi, e così via. Nel mio caso l’utilizzo dello yogurt, del litro di latte con fermenti lattici, del siero da precedente lavorazione ed infine del siero/latticello derivante dalla mini-coltura con le muffe del gorgonzola, ha sicuramente determinato una velocizzazione del processo di acidificazione. Inoltre la permanenza del latte sui fornelli, a fuoco lento per quindici minuti, ha determinato la coagulazione del latte e la conseguente separazione della cagliata dal siero. Mi sento di consigliarvi fortemente la sperimentazione di questo processo per rendervi totalmente conto di quanto la formaggificazione casalinga sia davvero alla portata di tutti, anche di quelli che si vergognano di recarsi in farmacia per acquistare il caglio.

mercoledì 30 novembre 2011

Il mio gorgonzola

  
Il mio gorgonzola
La cremosità del mio gorgonzola
Da quando mi sono scoperto caseificatore nato, ho cominciato a proporre a me stesso nuove ed entusiasmanti sfide, per capire dove si collocassero i miei limiti caseari. Nei primi tempi, quando avevo scoperto che coccolando a dovere un po' di latte scaduto tenendolo al calduccio e mescolandoci qualche goccia di caglio riuscivo con facilità ad ottenere qualcosa di molto simile ad un giovane formaggio,  avevo potuto facilmente presupporre che i miei limiti nell'arte casearia fossero davvero ad un passo, laddove essendo sprovvisto di un cascinale di montagna dove far maturare le forme o meglio ancora di una cantinaccia in toscana perduta tra le colline intorno a Pienza, non potessi davvero pretendere chissà cosa dalla formaggificazione domestica con il latte del supermercato. E invece con questo ragionamento mi stavo abbondantemente sottovalutando, e chissà quanti di voi stanno facendo prorpio ora la stessa cosa, commettendo un errore grossolano. Nel lontano passato la materia prima era quella che era, i vecchi pastori si accontentavano di quello che riuscivano a reperire dai propri animali e lavoravano il latte così ottenuto, producendo nonostante tutto degli ottimi formaggi. Noi oggi disponiamo invece di abbondanza di materia prima già bella e pronta, ottima per essere trasformata a dovere, ma siamo davvero dei geni nel raccontare a noi stessi che il latte non è quello genuino appena munto, il caglio non è come quello del vecchio casaro che c'era una volta al paese di mio nonno, bla bla, bla..... La verità è che ci stiamo abbondantemente sottovalutando. Siamo tutti casari, di altissimo livello, basta mettere da parte le scuse inutili e mettersi al lavoro, provare e riprovare, i risultati, preziosissimi, arriveranno di sicuro. E così avendo maturato da tempo questa filosofia una domenica mattina mi svegliai e guardando negli occhi mia moglie le dissi: " voglio fare il gorgonzola...". Mi guardò con disgusto e quel suo sguardo mi caricò ancora di più nella sfida che mi approntavo ad affrontare. Raschiai via un po' di sana muffa da una fetta di gorgonzola acquistata, mescolandola successivamente in un mezzo bicchiere di latte intero stiepidito, poi ricoprii il bicchiere con della pellicola trasparente e misi tutto a riposare per un paio di giorni. La coltura di muffe ebbe la possibilità di svilupparsi a dovere e quel poco di latte, complici i fermenti presenti nei pezzetti di gorgonzola, si coagulò. Si formò un siero denso squisitamente puzzolente. Appena ne ebbi la possibilità lavorai circa quattro litri di latte come sapevo fare solitamente, aggiungendovi però il siero contaminato dalle muffe del gorgonzola. Ruppi poi la cagliata a rombi medi, per ottenere un formaggio che fosse una via di mezzo tra un formaggio fresco e morbido ed uno mediamente stagionato. Dopo un paio di giorni di sgocciolatura la forma assunse un aspetto compatto, allora, come si fa per il gorgonzola, presi uno spiedino di ferro ed infilzai il formaggio in più punti, per favorire lo sviluppo delle muffe al suo interno. Collocai la forma tra due tavolette di legno, quelle usate per la polenta,  e riposi tutto in frigo, previa salatura a secco. Per circa una decina di giorni continuai a salare rivoltando la forma, cominciarono a formarsi le prime muffe e dovetti convincere mia moglie che la strada fosse quella giusta, voleva infatti buttare tutto via per paura che venisse contaminato tutto il cibo presente nel frigo. Ebbi fiducia in me stesso, andai avanti, il miracolo caseario stava per realizzarsi, lentamente, spora dopo spora, il mio formaggio si stava trasformando in gorgonzola! E gorgonzola fu...

giovedì 27 ottobre 2011

Stracchinando

Il mio mitico stracchino, notare la tipica forma...
Da quando sono diventato ufficialmente il formaggificatore di famiglia, con gran piacere di mia moglie che ormai sente l’odore di formaggio anche nelle caramelle balsamiche, ho capito mio malgrado di non possedere ancora una delle più preziose virtù che un vero casaro deve assolutamente avere, la pazienza. Essendo infatti anche molto goloso di formaggio, non riesco mai ad attendere la giusta maturazione delle forme, finendo per aprirle e consumarle in una sola serata. A volte ho anche chiesto a mia moglie di darmi una bastonata in testa dopo aver messo il formaggio a stagionare, così da poterlo opportunamente trafugare, per poi farmi rinvenire dal colpo subito, convincendomi di non aver formaggificato affatto, e di aver solo sognato. La cosa sarebbe di certo complicata, e non priva di rischi, ma forse sarebbe l’unico modo per consentire al formaggio di stagionare a dovere. Avendo preso atto di questa mia grave mancanza ho deciso allora per un periodo, in attesa di sviluppare la capacità di attendere, di produrre solo formaggi da consumare subito o a stagionatura brevissima. Tra questi il formaggio per eccellenza è senza dubbio il mitico stracchino.

Ingredienti:

-         4 litri di latte fresco intero alta qualità
-         2 cucchiai di yogurt intero
-         mezzo bicchiere di siero
-         una versatina di caglio…


Dopo aver reperito tutto l’occorrente ho lasciato riposare il latte una mattina intera nel pentolone, dopo averlo stemperato a 36/37 gradi. Nel pomeriggio gli ho aggiunto lo yogurt ed il siero, ho mescolato energicamente, ho riscaldato ancora il latte riportandolo sempre a temperatura corporea e l’ho lasciato riposare fino all’ora di cena. A questo punto gli ho aggiunto il caglio, versandolo direttamente dalla boccettina, senza badare troppo al dosaggio. Una bella rimescolata, ancora una scaldatina e poi di nuovo a riposo per quaranta minuti. Il caglio ha fatto bene il suo lavoro, il latte si è coagulato per benino, formando una massa budinosa alquanto compatta. Ho preso un coltello a lama liscia ed ho rotto la cagliata a rombi grossi quanto lo schermo di un telefonino (non so perché mi è venuta questa similitudine ma secondo me è efficace…), poi l'ho lasciato ancora a riposare. Dopo circa una ventina di minuti ho riscaldato ancora, sempre intorno ai 37 gradi, ed ho finalmente cominciato a prelevare con uno scolino in ferro la cagliata, cercando di romperla il meno possibile. L’ho riposta nelle fascette in plastica reperite acquistando ricotta fresca, e l’ho lasciata scolare grossolanamente per un paio d’ore, poi, giunta l’ora di andare a nanna, ho messo ciascuna fascetta dentro un contenitore di plastica per fare in modo che il formaggio rimanesse a contatto con il siero espulso. Ho messo infine tutti i contenitori in frigo. Ho proceduto così per fare in modo che la cagliata, bagnata dal proprio siero, rimanesse morbida e umida. Se acquistiamo in effetti lo stracchino o lo squacquerone possiamo notare nella confezione una specie di acquetta, che altro non è che un residuo di siero. Il giorno seguente ho scolato per bene ciascun contenitore in plastica con dentro le fascette di formaggio ed ho accennato una spolverata di sale in superficie. In serata ho scolato ancora i contenitori, ho preparato una soluzione acquosa per la salamoia e vi ho immerso le fascette, tutto per circa un’oretta. La salamoia ha insaporito a dovere il formaggio, mantenendolo splendidamente morbido e cremoso. Il contatto prolungato con il proprio siero non ha generato alcun sapore sgradevole, determinando al contrario quel particolare retrogusto tipico dello stracchino. Ho letto che qualcuno aggiunge al latte un po’ di panna per aumentare la cremosità del composto, ma vi assicuro che procedendo come descritto la cremosità viene comunque assicurata. Ed infine l’assaggio: sono  rimasto stupito, quasi commosso. Io ho fatto lo stracchino, e ora mi sento come il campione del mondo dei formaggificatori…


Disclaimer:
questa ricetta non vuole essere assolutamente una raccomandazione a produrre stracchino, ogni formaggificatore procederà autonomamente a produrre il proprio stracchino, sollevando il casaro sottoscritto da qualsiasi responsabilità circa la mancata caseificazione. Ogni processo di formaggificazione deve essere effettuato previa consultazione del casaro che risiede in ciascuno di voi.

mercoledì 5 ottobre 2011

Casari per caso

Domenica casalinga. Una quintalata di parenti sono venuti a farci visita ed io, dopo un lauto pasto consumato in compagnia, mi defilo, da buon casaro, per plasmare l’oro bianco che riposa in cucina, il latte. E lo faccio con particolare curiosità perché questa volta intendo utilizzare latte vaccino fresco parzialmente scremato con l’aggiunta di latte fresco di capra. Non seguo alcuna ricetta, e vado dritto per la strada che il mio istinto da formaggificatore mi mostra, la seguo e la percorro con convinzione ed entusiasmo, è sempre una festa quando formaggifico. Mentre preparo tutto disponendo il pentolone sul fuoco per stiepidire la materia prima e favorirne così una più rapida coagulazione, vengo distratto dai bambini urlatori, una speciale forma di umanoidi nani che hanno invaso la mia casa. Quest’oggi sono in tanti, davvero in tanti, e le loro urla festose (ma cosa avranno mai da festeggiare vista la crisi economica globale…) riempiono le pareti e si insinuano fin dentro il caglio, in frigo. Da buon casaro prendo respiro, chiedo loro di non urlare per non spaventare le proteine del latte altrimenti, intimidite, avrebbero potuto non coagularsi a dovere, ma loro niente, continuano giocosi a rincorrersi ed a urlare felici. Allora mi distraggo spesso per capire cosa stiano combinando, soprattutto quando dopo urla fameliche si susseguono silenzi inquietanti. Tutto nella norma, penso, sono bambini. Ma questa mia distrazione si rivela purtoppo fatale nella procedura di caseificazione. Dimentico il pentolone con il latte troppo tempo sul fuoco, il liquido si riscalda oltremodo. Spengo il fornello con sgomento e attendo speranzoso di non aver compromesso tutto il procedimento. Mi consolo pensando di non aver voluto comunque seguire una ricetta in particolare, e quindi spero di aver creato per sbaglio un grande formaggio. Dopo qualche minuto mi vedo costretto a rimuovere il velo di panna creatasi in superficie per effetto del calore, e quindi mi ritrovo con un latte parzialmente scremato che subisce l’ennesima scrematura. Attendo sempre fiducioso e quando la temperatura lo permette vi aggiungo il siero e qualche cucchiaio di yogurt intero. Attendo e attendo ancora. Dopo circa tre ore, quando i bambini urlatori sono oramai tornati nelle loro tane per riposare, mescolo il latte e vi aggiungo il caglio. Attendo ancora una ventina di minuti, e niente coaguli!!! Il peggior incubo di un casaro: la mancata coagulazione. Che fare? Buttare tutto e poi infliggere una punizione tremenda ai bambini urlatori, del tipo niente cartoni per tutta la vita? No, in fondo loro non hanno colpa, sono io che ho sbagliato distraendomi troppo spesso. Preso da un raptus aggiungo ancora un cucchiaino di caglio e accendo il fornello del gas. Rimescolo il latte sospirando e non appena sento il calore salire dal pentolone spengo il fornello, chiudo con un coperchio e attendo circa una mezz’ora. Quando riapro il coperchio, alla vista di quanto contenuto nella pentola, reagisco gridando al miracolo. Il latte ha assunto quella magica colorazione verdastra trasparente e sul fondo si intravede ammassata la cagliata. Coagulazione perfettamente riuscita. Rincuorato per il lieto evento mi accingo entusiasta a raccoglierla ed a riporla nella migliore fuscella a disposizione, quella a forma di formaggio per intenderci. Dopo una giornata di sgocciolatura procedo alla salatura a secco. Lascio riposare la forma ancora due giorni. Una meravigliosa puzza pervade la cucina, con grande soddisfazione di mia moglie. Mi convinco allora che un formaggio riuscito così bene, da un'improvvisazione, non può purtroppo riposare in pace per impuzzolirsi a dovere, pena crisi matrimoniale. Mi riempio un bicchiere di vino rosso e lo assaggio. Una sola parola: fantastico.

Ricetta: 4 litri latte fresco parzialmente scremato
              1 litro di latte di capra fresco intero
              2 cucchiai di yogurt intero
              3 cucchiaini di caglio
              1 bicchierino da caffè di siero

Procedimento: intrugliate, mescolate, improvvisate, distraetevi, provate e riprovate. Risultato assicurato. Divino.